Da dove si parte?
Nonostante l’argomento Candidate Experience sia uno dei più dibattuti, quando si passa all’atto pratico, il progetto di migliorare l’esperienza candidato viene spesso relegato nella lista dei “vorrei ma non posso”.
Una delle cause principali è che ci si immagina il solito progetto, a medio lungo termine, condotto in modalità waterfall, dove si fa l’analisi dei problemi - 3 mesi - poi si passa allo studio delle soluzioni e alla loro implementazione - 12 mesi forse 18 se si pensa di cambiare il Software del Gestionale HR o di rifare la sezione careers -, e infine si spera nei risultati.
Morale: budget di spesa certo + risultati incerti e a lungo periodo = bassa priorità al progetto.
Un’altra causa molto frequente è che per apportare migliorie sensibili all’esperienza candidato è necessario coinvolgere altre funzioni aziendali, poiché HR non ha autonomia di cambiare lo status quo di tutte le fasi. In genere questo porta alla rassegnazione di continuare a proporre step con Business Case o test tecnici della durata di una giornata lavorativa, anche se evidente a tutti che uccidono di fatto l’80% degli iter selettivi. Non perché i candidati non passino il test, ma perché non hanno alcuna intenzione di farlo.
Teresa, al contrario, prende l’iniziativa. Se volete in modo fin troppo artigianale, ma inizia con un’attività in cui è completamente autonoma: organizza interviste con i candidati in linea persi per strada durante il processo.
Ora, prepararsi per questo genere di interviste è un mestiere, come le consiglia la sua amica Daniela, e imparare a porre le domande giuste senza influenzare l’intervistato richiede esperienza e tecnica. Il mio consiglio, se ne avete l’opportunità, è quello di farvi aiutare da professionisti che si occupano di User Experience. I famosi UX.
Fatta questa premessa, le informazioni che si raccolgono con questa modalità sono preziosissime.
Tre sono i motivi:
Dalle interviste escono chiari dettagli su cui è possibile lavorare fin da subito, senza rivoluzionare l’organizzazione o le intere abitudini del vertice aziendale. Da questi accorgimenti è possibile trarre un immediato vantaggio nel non perdere candidati strada facendo. Questo dà l'energia a Teresa per applicare uno dei concetti più famosi del miglioramento continuo (continuous improvement): plan, do, check, act (restart). Piccole scoperte settimanali dalle interviste portano a piccole migliorie da sperimentare con qualche candidato. L’efficacia di questi esperimenti va misurata e in caso di successo va poi estesa all’intera organizzazione. A questo punto si riparte con altre interviste e altri miglioramenti.
Quando Teresa affronta il video colloquio, nella parte finale del romanzo, può prevedere quello che alla candidata interessa conoscere e approfondire. Teresa conosce altresì quello che infastidisce o insospettisce la candidata ed evita le bucce di banana con decisione.
In conclusione Teresa, grazie al processo di continuo miglioramento messo in atto partendo dalle interviste, acquisisce un vantaggio competitivo enorme rispetto agli altri HR che stanno incontrando contestualmente la stessa candidata nei propri iter selettivi.