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L’engagement
è la chiave di tutto

E se ‘vendessimo’ lavoro, invece di ‘comprare’ l’energia, il talento e il tempo delle persone? Si tratta di un cambio di prospettiva radicale, ma sempre più necessario.

I numeri parlano chiaro. L’85% delle aziende italiane fa fatica a trovare le persone giuste e questa percentuale era del 29% 10 anni fa. Nei primi sei mesi del 2022 1 milione di persone ha lasciato il lavoro nel nostro Paese (+32% rispetto allo stesso periodo del 2021). E, infine, solo il 21% di chi lavora dichiara di essere coinvolto dalla propria attività. I dati ci parlano di tre sfide: attrarre, trattenere e coinvolgere, questioni comuni al Marketing così come all’HR, anche se alla prima funzione era già noto da tempo. Attrarre è fare in modo che un cliente potenziale acquisti il nostro prodotto per la prima volta. Trattenere è fare in modo che riacquisti. Coinvolgere è fare in modo che contribuisca attivamente al successo dell’impresa, sia suggerendo miglioramenti da apportare al prodotto sia diventando un ambassador.

Per chi si occupa di HR le sfide sono molto simili: ottenere che un candidato accetti la nostra offerta di lavoro, che non se ne vada e, soprattutto, che rimanga coinvolto ed engaged, a un livello razionale ed emotivo al tempo stesso. Le persone ingaggiate si impegnano per l’extra mile, parlano bene dell’organizzazione e non hanno intenzione di andarsene.

Visto il parallelismo, il cambio di prospettiva diventa abbastanza naturale al punto da chiedersi: “Perché non ci abbiamo pensato prima?”. Domanda che la stessa Teresa (la protagonista) si fa più di una volta nel libro.

I dipendenti sono nostri clienti, così come lo sono potenzialmente i candidati. A loro vendiamo o vorremmo vendere un prodotto che è il lavoro, competendo sul mercato con le altre aziende interessate agli stessi candidati e dipendenti a cui siamo interessati noi. Gestire le persone diventa assimilabile a gestire i clienti.

Targeting, value proposition e relationship marketing sono attività chiave per Marketing e HR. Il primo analizza le aspettative dei clienti e i comportamenti dei concorrenti per scegliere su quali focalizzarsi; le Risorse Umane analizzano le aspettative dei dipendenti (attuali e potenziali) e le strategie dei competitor da un punto di vista di Employer branding.

Il Marketing costruisce l’offerta da proporre ai clienti target e gestisce nel tempo la relazione con il singolo cliente; l’HR definisce l’Employer value proposition e governa il rapporto con il singolo dipendente.

Richard Branson, Fondatore del gruppo Virgin, ricorda sempre che “non sono i clienti, ma i dipendenti, a stare al primo posto. Se ci prendiamo cura dei nostri dipendenti, loro si prenderanno cura dei clienti”.

Dobbiamo, allora, lavorare bene sull’Employee journey e sull’Employee experience di candidati e dipendenti. Cosa offrire alle persone nelle diverse fasi di un viaggio che facciamo insieme? Lavorare sul journey è diverso dal farlo semplicemente sull’Employee life cycle. Il concetto di journey invita a entrare in relazione ben prima della fase di selezione e a rimanerci ben dopo l’uscita. Come stimolare l’idea di poter cercare-cambiare lavoro? Come essere proattivi nel farci considerare come possibili employer of choice? Come intercettarli nella loro ricerca di lavoro? Come essere visibili? Come evidenziare le caratteristiche distintive della nostra organizzazione e facilitare, così, la scelta? Come semplificare l’onboarding? Come progettare il lavoro per renderlo un’esperienza ricca di senso? Come ascoltare le persone per arrivare a soluzioni condivise? Come facilitare il passaparola positivo? Come creare le occasioni per contribuire all’organizzazione e stimolare il senso di community?

Il punto di partenza in questo viaggio è sempre quello di comprendere le aspettative di chi già lavora per noi, per tenerlo engaged e non farlo andare via, e di chi vorremmo attrarre, fase per fase. Rischiamo, altrimenti, di offrire qualcosa che non è percepito come di valore.

Per quanto le aspettative siano molto personali e possano cambiare da persona a persona, alcune tendenze comuni ci sono, anche trasversali alle diverse generazioni. Contenuto e significato del lavoro, clima interno e opportunità di crescita sono sempre ai primi posti. In Facebook hanno scoperto che le persone se ne vanno quando il lavoro è piacevole, le loro abilità non vengono usate e non c’è modo di crescere. Un occhio di attenzione lo richiede sicuramente la Generazione

Z, in ingresso nel mercato del lavoro. Secondo una fotografia a livello internazionale sono realisti e disillusi; in Italia i liceali di oggi sembrano dare importanza a molti aspetti diversi e hanno fiducia che le aziende siano in grado di soddisfare queste aspettative. Quindi, così disillusi non sembrano. Sicurezza del lavoro e opportunità di carriera sono ai primi posti, seguono il work-life balance e il clima di lavoro. Il maggior disallineamento tra importanza e attese esiste con riferimento alle opportunità di carriera, al bilanciamento vita privata-lavoro e al feedback, dimensioni importanti, ma su cui l’aspettativa è più bassa. Su questi aspetti forse potremmo lavorare per ‘stupire’ questa generazione.

Chiarite le aspettative, rispondere alle domande di prima diventa, allora, molto più facile. Se ne accorge anche Teresa nel libro. Per la protagonista la cosa più difficile non è trovare né selezionare, ma assumere. E se la sua storia continuasse in un secondo volume, probabilmente scopriremmo che altrettanto difficile per la Fossati Moda è trattenere e coinvolgere i dipendenti. E che il coinvolgimento o l’engagement, però, sono la chiave di tutto. Le persone engaged sono i migliori ambasciatori che possiamo avere e ci aiutano ad attrarre nuovi lavoratori. Queste risorse non se ne vanno (quasi) mai. E, da ultimo, ma non meno importante, portano risultati.

Beatrice Manzoni

Associate Professor of Practice di Leadership, Organizzazione e HR presso SDA Bocconi School of Management

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